A lezione di 4.0, parla Roberto Siagri

15/09/2016 11:59
A lezione di 4.0, parla Roberto Siagri

L'intervista al pioniere dell'Internet of things in Italia, ad e presidente Eurotech

Per un’economia quale quella italiana, che nell’ultimo trimestre si è nuovamente fermata Industria 4.0 rappresenta un treno che non può essere perso, un’opportunità di crescita basata sulla convergenza fra le nuove tecnologie digitali e la tradizionale manifattura nostrana. Abbiamo chiesto a Roberto Siagri, presidente e ad di Eurotech uno dei pionieri del cosiddetto “internet delle cose”, di aiutarci a capire meglio questa rivoluzione.

D: Siagri, già negli anni Novanta si parlava di pervasive computing, di mini computer, di miniaturizzazione della capacità di calcolo, di rendere gli oggetti intelligenti, ovvero le basi di quella che vuole essere la rivoluzione di Industria 4.0. Allora erano concetti spaventosi, come invece oggi è possibile approcciarsi a queste novità? Come sarà questa industria del domani?

R: Il concetto alla base di Industria 4.0 è molto semplice: oggetti interconnessi che possano aiutare l’uomo a svolgere le sue funzioni tradizionali in maniera più semplice e rapida. In termini di mercato, stiamo parlando di un passaggio da un’economia del prodotto ad una del servizio o del risultato del servizio. Un cambiamento che, per esempio, ha già cominciato ad attuarsi rispetto alle automobili, con la grande diffusione del car sharing, realizzabile grazie alla grande mole di tecnologie presenti a bordo delle auto: sappiamo dove si trova il mezzo, possiamo contabilizzarne l’uso in minuti e non in giornate, e via dicendo. Fino ad ora si è trattato di supporti applicabili solo ad oggetti molto costosi e complessi, come le automobili, ma a breve potrebbero intervenire anche su oggetti più semplici, come una caldaia, un frigorifero o una macchinetta del caffè. Si capisce, allora, come Industria 4.0 rappresenti un’opportunità non solo per rendere le fabbriche più efficienti, ma anche per scoprire nuove metodologie di vendita, per raggiungere nuovi e più clienti rispetto ad ora.

D: Questo sembra il punto decisivo: non si tratta di una novità solo per specialisti e professionisti ma di una rivoluzione che coinvolgerà tutti, grazie alla possibilità di rendere i prodotti sempre più personalizzati, di arrivare al cliente in tempi più rapidi e in modalità più consone. Sembra che possa cambiare l’approccio al consumatore finale. È così?

R: Esattamente, questo aspetto deve assolutamente essere il più chiaro possibile: non si sta parlando semplicemente di qualche robot in più o in meno o di macchinari più o meno automatici; si tratta di una connessione fra oggetti, che permetterà al produttore di avere una piena interazione con il consumatore e di cambiare il modo in cui il prodotto viene portato sul mercato. E attenzione: Industria 4.0 è una grande opportunità per le nostre industrie manifatturiere di alta qualità. Fino ad oggi il mercato si è retto su prodotti che ad un certo punto dovevano assolutamente rompersi, perché altrimenti nessuno avrebbe più comprato. Domani potrebbe esserci un mercato basato su prodotti che non si rompono e che non vengono venduti, ma dati in uso, poiché quel che rileva è il servizio erogato attraverso questi prodotti, ad esempio l’acqua calda con la caldaia. E chi produce la caldaia si premunirà di occuparsi della vendita e gestione anche dell’acqua calda, cioè del servizio.

D: Industria 4.0 può coinvolgere anche coloro che finora non sono stati all’avanguardia, soprattutto fra le Pmi, ma che rappresentano lo scheletro del nostro tessuto industriale?

R: Sono in molti a pensare che Industria 4.0 sia riservata a pochi, e questo perché una volta le tecnologie erano per pochi. Si parla invece appositamente di rivoluzione proprio perché si tratta di qualcosa alla portata di tutti, come accaduto in questi anni con il cloud, con gli smartphone, con l’abbassamento dei costi delle comunicazioni. Industria 4.0 è esattamente questo, portare a tutti tecnologie che erano per pochi. Le molte industrie manifatturiere che fino ad ora non avevano investito, dunque, hanno l’occasione per compiere questa grande trasformazioni senza eccessive spese, sfruttando il modello pay per use. Stiamo creando un’economia che non ha bisogno di grandi investimenti all’origine, e che per coloro che già li hanno fatto offre il momento per capitalizzare.

D: Ci sono applicazioni orientate in questa direzione che possono fare al caso anche dei settori del made in Italy più tradizionali, dalle eccellenze artigiane all’agroalimentare?

R: Assolutamente sì. Prendiamo, ad esempio, proprio l’agroalimentare: tutto ciò che riguarda la lavorazione del cibo, la tracciatura, la documentazione della filiera, può essere realizzato a costi molto più contenuti di quelli attuali. Un altro settore particolarmente importante e che riguarda tutti: la sanità. Grazie alla rivoluzione dell’internet delle cose può davvero sviluppare un healthcare 4.0, erogare servizi migliori a prezzi più bassi. Ancora: l’artigianato, che con piattaforme di vendita realizzabili grazie a queste nuove tecnologie potrà raggiungere con molta più facilità e rapidità il cliente. E si pensi anche alle assicurazioni: le polizze potranno essere molto più dinamiche, basate su come ciascuno si comporta e vive la propria giornata, e tutto grazie alla raccolta diretta dei dati. Ripeto, si tratta di un’innovazione che coinvolge tutti.

D: Quali saranno le principali difficoltà nel immettere queste nuove tecnologie nelle aziende?

R: C’è in primo luogo quello della sicurezza dei dati, anche a livello internazionale, su cui occorrerà senz’altro lavorare. Un altro ostacolo è rappresentato dalla mancanza di standard, a cui si sta cercando di ovviare attraverso i fenomeni dell’open source e dell’open data. C’è poi un ulteriore impedimento, più atavico e legato al tempo che fu: sembrano tecnologie difficilmente gestibili e molto costose. E invece occorre chiarire che non è necessario di dotarsi di nulla in particolare per poterle utilizzare, sono fatte per potersi calare nelle industrie così come sono. E, ripeto, a prezzo accessibili a tutti.

D: A proposito di costi: il Governo sta intervenendo con un piano che intende puntare molto sul 4.0, incentivando gli investimenti privati e attraverso super ammortamenti anche del 200 %. Pensa che si tratti di un tipo di approccio efficace?

R: Tutto può essere d’aiuto, però è importante che si crei una vera e propria cultura del 4.0, bisogna spiegare che qui ci si gioca il futuro dei modelli di business, del dominio non solo locale ma anche a livelli di export. Per questo è un treno che non solo l’Italia non può perdere, ma anche tutta l’Europa. Stati Uniti e Giappone, che hanno cavalcato la rivoluzione informatica degli anni Settanta e Ottanta, ci hanno lasciati indietro, noi che siamo ancora figli della Seconda Rivoluzione Industriale. È fondamentale non perdere la Quarta, che per il manifatturiero italiano, per la qualità della sua produzione e per la bontà delle macchine che abbiamo, può rappresentare una vera e propria panacea, perché significa competere non più sul prezzo ma sul servizio.

D: Cosa risponde a chi teme una netta perdita di posti di lavoro in seguito a questa sempre maggiore automazione della produttività?

R: Ogni evoluzione tecnologica, storicamente, ha sempre portato con sé questi timori, eppure mi sembra che il mondo sia sempre cresciuto, che ci siano più persone che lavorano di volta in volta. Detto questo, è chiaro che ci saranno delle fasi di scompenso, a cui dovrà far fronte la politica, non gli industriali. Ma sarà una trasformazione che alla fine porterà più posti di lavoro, perché i servizi non potranno mai essere erogati dalle macchine. Io credo che con questa rivoluzione daremo più opportunità, pur tenendo in conto, ripeto, la possibilità che nel breve periodo ci sia qualche manovra di assestamento da attuare.

D: I giovani di oggi sono pronti per questo tipo di rivoluzione o dobbiamo cambiare fin da subito il modo in cui li avviamo al lavoro?

R: Questa penso sia la sfida più grande. Penso purtroppo che le nostre università e le nostre scuole non stiano cambiando pelle così velocemente come dovrebbero. Il tema dell’istruzione e della preparazione è centrale. Ho comunque molta fiducia del fatto che le nuove generazioni siano più flessibili e orientate al mondo nuovo che sta arrivando, e si dovrebbe trovare un modo per farli entrare nel mondo del lavoro molto più velocemente di quanto non accada oggi.

D: A che punto è l’Italia per quanto riguarda la connettività? Stiamo andando verso la giusta direzione?

R: L’internet delle cose non richiede una banda larghissima, perché gli oggetti, contrariamente agli umani, hanno pochi dati da scambiarsi. L’infrastruttura cellulare che abbiamo in Italia, dunque, è già ottima. La banda larga servirebbe più per la parte di e-commerce e quella transazionale. Condizione basilare, però, è la creazione di grandi data centre che permettano di raccogliere e analizzare i dati, perché altrimenti questi ultimi non servono a nulla. Confesso di essere un po’ preoccupato sui tempi di realizzazione di tutto questo, che in Italia, come noto, sono sempre un problema.

D: Per concludere, voi di Eurotech in che modo vi state muovendo per far fronte alla rivoluzione di Industria 4.0?

R: Siamo già ampiamente al lavoro, al fine di creare standard di interoperabilità per l’internet delle cose. Siamo convinti che se riusciamo a creare delle piattaforme standard per lo scambio dei dati delle macchine, forse riusciremo anche ad accelerare questa Quarta Rivoluzione Industriale, che, non mi stancherò mai di ripeterlo, rappresenta una grandissima opportunità per tutti.

 


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