Fonti rinnovabili elettriche: così vanno integrate, non omologate

di Guido Bortoni, presidente Cesi 13/12/2021 19:29
Fonti rinnovabili elettriche: così vanno integrate, non omologate

Vanno stabilizzati i ricavi delle rinnovabili con contratti a termine, con procedure competitive su base centralizzata o meno. Queste fonti concorreranno quindi con i propri volumi alla formazione dei prezzi dell'energia pagati dalle collettività, sterilizzandoli dalla volatilità delle materie prime

Il sibillino “integrarle non omologarle” reca ambiguità simili all’originale “Ibis redibis non morièris in bello”. Ambiguità di generare significati opposti, associando quel “non” al verbo che lo anticipa ovvero lo segue.

Allo stesso modo, due diverse visioni - per certi versi opposte - circa il ruolo delle fonti rinnovabili nel mercato elettrico scaturiscono dalla collocazione di una semplice virgola prima o dopo la negazione. A ben pensarci, il dibattito cui stiamo assistendo in Italia sul tema del mercato elettrico è alimentato da tale dualità, complice la straordinaria tensione odierna dei prezzi dell’energia elettrica per i consumatori. L’interpretazione virtuosa è, a mio avviso, “integrare, non omologare” per una decarbonizzazione accelerata e al minimo costo per i consumatori. Vediamo perché.

Il mercato elettrico in Europa è stato disegnato nei primi anni 2000, quando la sostenibilità climatica non era ancora un obiettivo e il parco di generazione elettrica era largamente dominato da fonti convenzionali (carbone, olio, e, da ultimo, gas naturale), caratterizzate da importanti costi variabili di produzione del kWh, con risorse primarie importate. In vent’anni, in Italia, la crescita delle fonti rinnovabili elettriche (FER-E) le ha portate al 35% del mix elettrico nazionale. Una produzione cospicua, ma purtroppo ancora di minoranza nel mercato elettrico il quale, per modus operandi, tende a omologarla al mondo convenzionale.

Omologare le FER-E alle tipologie dominanti significa trattare in modo omogeneo a queste ultime qualcosa che non lo è, privandolo delle proprie originalità. Al contrario, integrarlo con le (per ora) produzioni maggioritarie vuol dire completare il mercato elettrico attraverso l'aggiunta di elementi distinti e complementari, valorizzando le peculiarità delle FER-E.

Tre sono le principali istanze che le FER-E rivendicano, a fronte di tre vantaggi che, qualora integrate, le stesse sono pronte ad offrire.

1) Stabilità. Le FER-E a (quasi) zero costi variabili di produzione si caratterizzano come investimenti a prevalente capitale immobilizzato e sono quindi alla ricerca di una remunerazione con flussi finanziari pluriennali il più possibile costanti, a garanzia dei ritorni dell’investimento. Tali flussi sono disaccoppiati dal profilo di prezzi che si verificano sul mercato, i cui fondamentali riflettono invece i prezzi delle commodities e gli economics delle fonti tradizionali. Un punto importante per la de-omologazione.

2) Bilanciamento. Il segmento FER-E è strutturalmente flow-based (si basa sui flussi di vento, acqua, irraggiamento solare) in contrasto a quello stock-based delle fonti convenzionali. L’aleatorietà dei flussi rinnovabili, poi, comporta drammatiche difficoltà tra impegni ed esecuzioni degli impegni contrattuali. Conseguentemente, le FER-E richiederebbero al sistema elettrico di fornir loro un bilanciamento dei profili contrattuali, cioè di compensarli con elettricità rinnovabile disponibile altrove nel mercato. Tale funzione è oggi assente nel mercato, essendo un non problema per la fonte tradizionale. Compito della rete di trasmissione oggi è fare importanti investimenti in asset di rete, essendo l’opzione meno onerosa per il consumatore, per garantire una logistica dell’energia capace di rendere eseguibili e certe le transazioni con energia dalle FER-E.

3) Storage. L’incapacità delle FER-E di avere stock di energia rinnovabile sull’upstream del sistema elettrico richiede di riprodurre capacità importanti di storage di energia elettrica nel midstream del sistema, quindi lato rete di trasmissione. Ciò per consentire sia la mitigazione dei vincoli di rete con l’aumento della trasportabilità dell’energia rinnovabile, sia di accumulare eccessi di produzione FER-E nei momenti e luoghi in cui la rete dovesse localmente saturare. Ancora: il segmento FER-E è anche interessato ad avere nel mercato elettrico la possibilità di buffering stagionale della propria energia, al contrario delle convenzionali.

Ma veniamo ai tre - fondamentali - vantaggi.

1) Il più basso carbon-footprint. È noto come vi siano sostanzialmente tre modi di decarbonizzare economia e società: efficienza energetica sull’intera filiera produzione-consumo, elettrificazione massiccia dovunque praticabile con FER-E e sviluppo dei clean fuel (molecole decarbonizzate e tecnologie decarbonizzanti) laddove necessario. La crescita delle FER-E è il modo più efficiente sia per impronta carbonica del kWh immesso che per penetrazione negli usi finali.

2) La più alta autonomia strategica. Innegabile è il contributo offerto dalla produzione di FER-E autoctone per incrementare l’autonomia strategica di Italia ed Europa, riducendo direttamente le dipendenze da energia primaria importata. Tuttavia, vanno soppesati anche alcuni caveat circa nuove dipendenze che si dovessero generare (terre rare, semiconduttori) e un probabile mutamento della geopolitica dell’energia.

3) I più bassi costi di produzione. Oggi il livello del cd Levelized Cost Of Electricity (LCOE) da FER-E – cioè il valore attuale del costo unitario dell’energia rinnovabile per l’intera vita produttiva dell’impianto - è un sottomultiplo di quello di 10 anni fa (es. per il fotovoltaico si è ridotto di 5 volte) ed è previsto scendere ancora in futuro. Con LCOE così bassi, si sta al di sotto del prezzo medio del mercato elettrico nazionale, anche nei periodi precedenti l’attuale caro-bollette.

Se si riuscisse a scorporare l’ammontare per la remunerazione a LCOE delle FER-E dall’intero onere di acquisto dal mercato, rendendolo stabile, risulterebbe evidente come per i consumatori il costo medio ponderato (FER-E e non) dell’energia all’ingrosso potrebbe ridursi, anche rispetto ai prezzi pre-crisi.

Questo non significa affatto che le soluzioni siano da ricercare in improbabili ricette algoritmiche di cambiamento delle regole di formazione dei prezzi nel mercato spot. Occorre piuttosto stabilizzare i ricavi per le FER-E con contratti a termine, attraverso procedure competitive, tramite la stipula dei c.d. Power Purchase Agreement, su base centralizzata o meno. Queste fonti concorreranno quindi con i propri volumi alla formazione dei prezzo pagati dalle collettività, sterilizzandoli rispetto alle tensioni sulle materie prime.

Per concludere,una riflessione sulla recentissima posizione francese. Da quanto riportato, appare come si intenda “trasferire tempestivamente al consumatore [elettrico] i benefici delle tecnologie a zero emissioni con i propri segnali di prezzo, proteggendoli dalla crescente volatilità dei mercati del gas naturale […] in modo tale che il consumatore finale paghi i prezzi dell’elettricità che riflettono i costi del mix di generazione”. Mi sembra una posizione volta all’integrazione delle FER-E (e del nucleare per la Francia).

Voglio ben sperare che il dibattito in Italia, anche sulla scia del documento francese, non finisca in un pantano di argomenti pro/contra la formula di prezzo, bensì punti intelligentemente a de-omologare le fonti rinnovabili e a valorizzarle, integrandole nel mercato con le loro peculiarità.


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