Industria 4.0 con andamento lento, trainata dai Pid

di Sabrina Iadarola 16/07/2018 10:26
Industria 4.0 con andamento lento, trainata dai Pid

Quattordici milioni di euro. A tanto ammontano i finanziamenti, secondo Unioncamere, tramite i Punti impresa digitale, che vogliono rappresentare il primo livello di contatto tra aziende e innovazione. Un percorso che va adagio: secondo l’ultima indagine Mise-Met solo l’8,4% delle imprese manifatturiere utilizza almeno una tecnologia

Quattordici milioni di euro stanziati attraverso voucher per le imprese nell'ambito del network nazionale Impresa 4.0. È il bilancio di Unioncamere, a un anno dall'avvio dei Pid, i Punti impresa digitale, che vogliono rappresentare il primo livello di contatto per le aziende italiane con il mondo delle nuove tecnologie e dell'innovazione della quarta rivoluzione industriale in atto. Nati per accrescere la consapevolezza sulle soluzioni possibili offerte dalle nuove tecnologie digitali e i relativi benefici, gli 88 Pid presenti sul territorio nazionale offrono alle imprese servizi di informazione, formazione, orientamento, assistenza. In 12 mesi sono stati pubblicati più di 70 bandi e realizzati 470 eventi di informazione con oltre 8 mila aziende partecipanti. Un'attività di «evangelizzazione» che tuttavia fatica a penetrare il mondo delle pmi.

«Sono soprattutto le aziende più piccole a far fatica a comprendere i vantaggi legati all'adozione delle nuove tecnologie», ha sottolineato il segretario generale di Unioncamere, Giuseppe Tripoli. «Ed è quindi principalmente a loro che ci rivolgiamo attraverso l'attività dei Pid per contribuire a diffondere la cultura e la pratica del digitale». La fotografia del sistema Camere di commercio trova riscontro nell'ultima indagine Mise-Met su imprese e tecnologie 4.0. Ebbene, delle circa 23.700 imprese coinvolte (di tutte le classi dimensionali incluse quelle con meno di 10 addetti e di tutte le regioni italiane) solo l'8,4% delle imprese manifatturiere italiane utilizza almeno una tecnologia 4.0. A questa quota si aggiunge un ulteriore 4,7% di imprese che hanno in programma investimenti specifici nel prossimo triennio. Le imprese che restano ancorate a logiche «tradizionali», ovvero che non utilizzano tecnologie 4.0 e non hanno in programma interventi futuri, rappresentano ancora la grande maggioranza della popolazione industriale (86,9%).

La diffusione delle tecnologie 4.0 è maggiore nel Centronord (9,2%) rispetto al Mezzogiorno (6,1%), con un coinvolgimento diverso a seconda che si considerino le tecnologie più strettamente connesse alla produzione (robot interconnessi, manifattura additiva, simulazioni, realtà aumentata e materiali intelligenti) o quelle rappresentative dello sfruttamento intensivo di informazioni e dati (integrazione orizzontale o verticale delle informazioni, cloud, big data, analytics ecc.): tra le tecnologie più diffuse ci sono cyber security, integrazione orizzontale delle informazioni e Internet of things, mentre l'impiego di robot collaborativi, delle stampanti 3D e delle simulazioni virtuali trovano una diffusione relativamente apprezzabile soltanto presso le imprese più strutturate.

Nel prossimo triennio i numeri dovrebbero cambiare, stando almeno alla previsione degli investimenti. Il 10% delle imprese (incluse quelle attualmente non coinvolte) prevede almeno un intervento nel prossimo triennio, e la percentuale aumenta sensibilmente nelle imprese con 10-49 addetti (22,5%), sino a raggiungere circa un terzo delle imprese di media e grande dimensione. Eccetto nel Meridione, dove il divario negativo è anche sull'impegno futuro (8,1% verso 10,6%) a investire nel 4.0. Sono più propense all'utilizzo delle tecnologie 4.0 le aziende del comparto macchine elettriche e apparecchiature elettroniche (23,7% di imprese che utilizza tecnologie 4.0). Seguono il comparto della fabbricazione di mezzi di trasporto (15,1%) e il settore della chimica e plastica (15,8%). L'estensione del fenomeno 4.0 si riduce sensibilmente nei settori della meccanica e della lavorazione dei metalli e negli altri ambiti industriali legati al made in Italy: legno-mobili (5,1%), filiera dell'agroalimentare (4,8%) e dell'abbigliamento (3,8%).

Al di là della diffusione del fenomeno, cosa si aspettano gli imprenditori che investono nelle nuove tecnologie? In primo luogo incrementare la competitività, cioè ottenere maggiore efficienza produttiva (ottimizzazione dei costi, riduzione degli errori, maggiore flessibilità alle variazioni della domanda). I vantaggi si allargano anche alla possibilità di ottenere economie di varietà e di personalizzazione dei prodotti e di introdursi in nuovi mercati. Chi invece è scettico o prudente, lo fa per criticità legate a competenze e capacità economica di investimento. E che chi (il 6,3% delle aziende) teme anche effetti negativi sui propri livelli occupazionali.


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