Industria 4.0, per la rivoluzione serve il timoniere

14/03/2017 16:00
Industria 4.0, per la rivoluzione serve il timoniere

Incentivi fiscali, politecnici, centri di ricerca, e pure i sindacati. Mancano però i manager nella cabina di regia per l’accelerazione tecnologica da cui dipende il futuro dell’industria. Ne parlano con Capital i dirigenti di Aldai-Federmanager

La formazione dei manager è un elemento chiave per portare Industria 4.0 all’interno delle aziende. E il fattore tempo è determinante per decretarne il suo successo. Ma questa esigenza, fortemente sentita dai rappresentanti dei dirigenti, sembra per ora sfuggita al governo. Che, se non vuole piloti senza patente alla guida di una Formula uno, dovrà rimediare. La quarta rivoluzione industriale è iniziata e l’Italia è in ritardo. La Germania, nostro maggiore concorrente europeo nella manifattura, ha cinque anni di vantaggio e c’è il forte rischio che riesca a imporre i suoi standard anche nella digitalizzazione dei processi produttivi delle imprese. Per l’Italia si tradurrebbe in un costo di adattamento elevatissimo e, per molte imprese, insostenibile. Commettere errori in questa fase è quindi impensabile. Eppure, le imprese ci stanno provando. Dopo il varo di Industria 4.0, il fortunatamente ambizioso programma governativo, che mira alla digitalizzazione e integrazione dei processi all’interno delle aziende, è stata formata una cabina di regia. Una regia con il compito di coordinare il piano nazionale di medio-lungo periodo che, per il 2017, vuole muovere investimenti per 10 miliardi.

«Le verifiche saranno spietate», ha avvertito il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, alla presentazione del programma di lavoro. All’interno della stanza dei bottoni siederanno rappresentanti del governo, dei ministeri coinvolti, dei politecnici di Milano, Torino e Bari, della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, dei centri di ricerca, della Cassa depositi e prestiti, di Confindustria e di altri rappresentanti del mondo economico e imprenditoriale. Ci saranno anche i rappresentanti dei lavoratori (Cgil, Cisl, Uil e Ugl). E perché quelli dei manager no? 

«I manager italiani conoscono bene la responsabilità che li attende nell’attuazione del piano Industria 4.0 e sono mediamente istruiti sui punti principali di questa rivoluzione», dice a Capital Romano Ambrogi, presidente di Aldai-Federmanager, la maggiore organizzazione territoriale (Milano e altre province lombarde), con quasi 16mila iscritti, dell’associazione dei dirigenti italiani. «Spetta ai manager guidare i collaboratori verso il cambiamento. Ma la politica ne sta sottovalutando l’importanza. Entrare nella cabina di regia di Industria 4.0 vuol dire portare competenze tecniche, gestionali e organizzative che possono rendere fattibile questo passaggio epocale». 

Per fare in modo che la principale organizzazione manageriale (conta complessivamente 180mila dirigenti e quadri apicali) possa portare argomenti concreti nei momenti in cui si confronta con politici e industriali, il presidente federale di Federmanager, Stefano Cuzzilla, ha istituito una Commissione industria capace di sintetizzare problematiche e le proposte operative per superarle. Un modo per non restare indietro, non certo nei contenuti ma nella definizione delle linee guida che sovraintende il piano, e per fornire un contributo fondamentale al suo successo. 

Ma c’è un altro problema che si intreccia con la colpevole assenza di questa fondamentale rappresentanza nel tavolo di coordinamento nazionale e che riguarda la composizione imprenditoriale in Italia. «Il 97,5% delle nostre aziende conta meno di 10 dipendenti, particolarità che ha conseguenze su tutti i processi di evoluzione interni, non ultimo quello di Industria 4.0», sottolinea Bruno Villani, vicepresidente di Aldai-Federmanager. «Inoltre la presenza di manager non cresciuti in azienda in queste società è bassissima: spesso l’imprenditore vede con sospetto l’arrivo di un dirigente che ritiene troppo indipendente». Aziende piccole e gestite più col cuore che con la testa. Questo modello ha funzionato finora, ma rischia di saltare se la standardizzazione nei processi che l’industria 4.0 porta con sé non fosse applicata correttamente, o niente a atto.

Secondo uno studio dell’Università Cattolica, le pmi che hanno trasferito le responsabilità a manager esterni hanno ottenuto risultati di gran lunga migliori dei concorrenti. Anche in Germania il tessuto imprenditoriale è formato in larga parte da piccole e medie imprese a conduzione familiare, ma mediamente ben più grandi delle nostre e con un maggiore innesto di quadri e dirigenti. Molti imprenditori italiani invece continuano ad avere una barriera culturale al passaggio alla gestione manageriale. Queste peculiarità italiane evidentemente guidano involontariamente le scelte politiche, si preferisce assecondarle piuttosto che modi carle. Ma il cambiamento deve coinvolgere anche questo aspetto: stimolare l’aggregazione e la crescita delle piccole e medie imprese, favorire l’ingresso dei professionisti della gestione aziendale. Solo così è possibile ipotizzare il successo di una quarta rivoluzione industriale che ha la forza, se non ben gestita, di travolgere molte imprese. La presenza di dirigenti in aziende più grandi e strutturate mostra che in questo modo è più facile traghettare l’industria in un mondo 4.0.

«Il manager ha le competenze tecniche, gestionali e organizzative che possono rendere fattibile questo passaggio», sostiene Ambrogi. «Con il 4.0 dovrà sviluppare maggiormente le doti comunicative e relazionali, visto che la condivisione dei dati, sia all’interno sia all’esterno dell’azienda, è uno degli aspetti fondamentali del piano». Villani aggiunge che è il dirigente a conoscere il linguaggio dell’imprenditore e i processi necessari a trasferire le conoscenze necessarie al raggiungimento degli obiettivi. È lui che deve analizzare, concepire e mettere in pratica i piani di crescita. La visione strategica di lungo periodo e il problem solving sono caratteristiche essenziali del manager. «Le sedi italiane delle multinazionali e le grandi aziende sono già partite nello sviluppo dell’industria 4.0. Hanno già responsabili alla digitalizzazione, hanno risorse, hanno cultura manageriale. Il problema», insiste Villani, «nasce nelle pmi. Noi ci stiamo battendo per cambiare questa mentalità e riteniamo che l’innesto di manager sia la premessa necessaria anché il processo di digitalizzazione abbia successo. Non è facile ma le aziende italiane hanno sempre dato prova di grande reattività nei momenti critici». 

Benché nel piano nazionale Industria 4.0 l’aspetto della formazione alle nuove tecnologie sia ben presente, la legge di bilancio l’ha praticamente dimenticato. «Le misure nora adottate sono sostanzialmente incentivi scali», lamenta il presidente di Aldai-Federmanager. Eppure il capitale umano, sebbene si parli di macchine, software e colossali banche dati, sarà l’elemento decisivo. Senza un’adeguata formazione, e informazione, si rischia un buco nell’acqua. La formazione che non riguarda certo solo i manager. Alcuni studi recenti indicano che meno del 40% degli imprenditori sa esattamente che cosa comporta l’industria 4.0. E una parte dei dirigenti ha una consapevolezza insufficiente: poco più di un terzo si dice già pronto alla quarta rivoluzione industriale. C’è una carenza di manager 4.0 che non va sottovalutata, e che non può essere colmata soltanto con giovani manager freschi di laurea, della generazione nativa digitale. Serve tempo perché diventino esperti, e quelli già molto preparati ci sono già, ricorda la federazione di rappresentanza; semmai vanno completate le loro competenze. L’esperienza non si studia, l’industria 4.0 già corre e le imprese devono accelerare.  (Antonio Spampinato)


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