Industria 4.0 per ripartire

di Lucia Gabriela Benenati 30/11/2016 11:29
Industria 4.0 per ripartire

Cura da alta sartoria nei prodotti di massa, gusti del cliente e big data che pilotano i robot in fabbrica, conessione in rete di tutti gli impianti... La quarta rivoluzione industriale è cominciata. Come entrare nel big business

Da 10 a 15 anni è il tempo necessario per raggiungere la maturità dell’industria 4.0, la rivoluzione industriale del XXI secolo, la quarta nella storia del mondo occidentale: macchinari, prodotti e sistemi informatici connessi l’uno all’altro in un grande ecosistema in cui tutte le componenti della filiera comunicano con standard aperti. E dove il capitale umano non è per nulla sostituito, ma al contrario è destinato ad assumere un ruolo più centrale, con nuove competenze. Una quarta ondata di progresso legata non a una singola tecnologia, come era successo con la macchina a vapore, l’elettricità e l’avvento aziende manufatturiere con oltre 100 milioni di euro di fatturato a investire nelle tecnologie abilitanti, innescando un circolo virtuoso.

Secondo le stime di Boston consulting group, passare al 4.0 farà crescere il pil tedesco di circa l’1% e comporterà nei prossimi 15 anni un incremento di produttività del 5-8%. Con Manufacturing Usa gli Stati Uniti hanno investito in un progetto analogo 2 miliardi di dollari, la Cina ne ha stanziati circa 2,2. Piani concreti per la manifattura digitale sono stati avviati in successione in Danimarca, Australia, Belgio, Svezia, Regno Unito, Paesi Bassi, Giappone, Corea del Sud, Cina, India, Canada, Francia. E l’Italia? Arriva in ritardo, ma deve adeguarsi al percorso suggerito dalla società di consulenza Roland Berger: intere fabbriche 4.0 entro il 2020, non solo dei grandi gruppi industriali ma anche delle pmi; ampia interconnessione con le soluzioni standard e progressiva sostituzione dei macchinari entro il 2025; connessione dell’intero dell’elettronica e dell’informatica, ma a tecnologie aggregate grazie a internet in modo sistemico, congiunte in nuovi modelli produttivi, con innovazioni di processo, organizzative, di prodotto e di business.

La rivoluzione è già in corso e investe tutti i settori. Ma è la manifattura a beneficiarne maggiormente: ogni fase è gestita e influenzata dalle informazioni rilevate, comunicate e accumulate dalla progettazione all’utilizzo, fino al servizio post vendita. Industria 4.0 è, ora più che mai, la più grande sfida alle imprese. Lo ha capito per tempo il governo tedesco: il piano di investimenti iniziali da 300 milioni, Industrie 4.0, adottato nel 2011 e precursore per tutta l’Europa, ha spinto oltre metà delle 6mila sistema manifatturiero come una fabbrica unica entro il 2030. Ecco perché a 10 anni da Industria 2015, il piano varato nel 2006 dal governo Prodi, il premier Matteo Renzi lancia ora Industria 4.0, che riconosce importanti sconti fiscali per gli investimenti produttivi, in versione estesa rispetto a quelli finora in vigore. 

Il piano stanzia 13 miliardi di risorse pubbliche, distribuite fra il 2018 e il 2024, per la copertura degli investimenti privati attraverso il contributo di superammortamento, iperammortamento, beni strumentali, Nuova Sabatini e investimenti supportati dal credito d’imposta per la ricerca. Al contempo il governo spera di generare investimenti aggiuntivi per 24 miliardi: 10 miliardi in più di investimenti privati in innovazione nel 2017 (da 80 a 90 miliardi), 11,3 miliardi di spesa privata in più nel triennio 2017-2020 per la ricerca e lo sviluppo, un incremento di 2,6 miliardi dei finanziamenti privati, in particolare nell’early stage, il periodo iniziale d'investimento. 

Comprensibilmente, il progetto piace al presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia: «Una grande occasione che l’industria italiana deve cavalcare», per rafforzare la manifattura, che nel 2015 valeva il 14,2% del pil (15,8% dell’occupazione). «Da qui in poi nessuno potrà prescindere dal cambiamento epocale che il digitale porta al sistema produttivo, industriale, dei media e dei servizi », aggiunge Donato Iacovone, ceo Italia e managing partner Italia Spagna e Portogallo di Ey. «Molte delle nostre pmi non si affidano sufficientemente al sistema dei distretti industriali e sono reticenti nell’aprire la propria azienda, condividere dati e progettare servizi condivisi supportati dalla tecnologia digitale. Questo è un passaggio chiave che le nostre imprese dovrebbero superare», sottolinea il ceo. «Quello del governo è un piano importante che aiuterà anzitutto le pmi, rendendole più competitive sia sul mercato interno, sia all’estero», sottolinea Stéphane Klecha, banchiere d’affari francoitaliano, ex Lazard, oggi a capo di Klecha&Co.

Su Industry 4.0 investe anche la Commissione europea: 50 miliardi fino al 2020 per il digital single market. Fra le priorità, lo sviluppo di standard per alcuni dei settori e delle tecnologie chiave, a cominciare da reti di comunicazione 5G e cybersecurity. L’internazionalizzazione è uno dei punti focali della manifattura hi-tech, dove Germania e Italia rappresentano rispettivamente il primo e secondo polo dell’Unione (e l’Italia è il primo partner commerciale della Germania). Unicredit, nel documento Internationalization of companies by 2030, valuta che le aziende tedesche e italiane raddoppieranno gli investimenti diretti esteri entro il 2030. Poiché il processo di trasformazione digitale è inevitabile, «sarà necessario adottare un approccio strutturato e multifunzionale: valutazione delle capacità aziendali nelle aree decisive, calcolo dei benefici economico-finanziari dell'industria 4.0, programma di trasformazione minimizzando i rischi e ponendo una forte attenzione su competenze e l’organizzazione», suggerisce Gabriele Caragnano, partner di PwC. 

Ma come funzionerà concretamente l’impresa 4.0? «I sistemi, connessi attraverso sensori e attuatori, potranno interagire utilizzando protocolli internet e potranno analizzare i dati per prevedere eventuali fallimenti e autoconfigurarsi per adattarsi ai cambiamenti», spiega Massimiliano Ceaglio, direttore operativo di I3P, incubatore di imprese innovative del Politecnico di Torino. «La raccolta e l’analisi dei dati renderà i processi più veloci, flessibili ed efficienti, con la produzione di beni di qualità superiore a costi ridotti, favorendo la crescita e cambiando la competitività delle imprese. È dunque fondamentale l’apporto delle start-up, che spesso forniscono soluzioni innovative».Le potenzialità di questa evoluzione radicale sono enormi: progetti digitali e modellazione virtuale del processo di fabbricazione potranno, per esempio, ridurre il tempo tra la progettazione di un prodotto e la consegna. McKinsey stima dal 20 al 50% la riduzione del cosiddetto time to market e un miglioramento della qualità, con abbattimento dei costi, dal 10 al 20%. Inoltre, l’utilizzo di programmi di manutenzione preventiva potrà ridurre i tempi di fermo macchine del 30-50%, con minori costi dal 40% in su. 

C’è un ulteriore, formidabile vantaggio: l’ampia automatizzazione renderà inutile spostare la produzione in paesi dove il costo del lavoro è inferiore. L’hanno già compreso gruppi internazionali del calibro di Adidas, che ha riportato in Germania la fabbricazione di scarpe sportive. Il fenomeno si chiama reshoring e in Italia vede in prima linea Benetton, gruppo da 1,5 miliardi di euro di ricavi, che ha messo sul piatto 2 milioni di euro per il lancio di Tv31100, un maglione made in Treviso, primo capo di una nuova linea continuativa che segna il ritorno in patria di una parte della produzione. 

Tuttavia, la manifattura italiana, composta per l’80% da pmi che hanno finora adottato poche soluzioni informatiche, è pronta per il salto 4.0? Un sondaggio di McKinsey indica che il 52% è ancora impreparato. Mentre sono in condizione di accogliere subito il cambiamento epocale le aziende dei settori automotive e industrial equipment: secondo Accenture, potrebbero spendere fino a 220 miliardi e sviluppo per la creazione di una connected industrial workforce nei prossimi quattro anni. «Le imprese leader, che puntano nelle tecnologie digitali per sfruttarne il vantaggio competitivo, investono per la connected workforce quasi il doppio rispetto alle ritardatarie», precisa Giuseppe La Commare, managing director Accenture per l’industrial equipment. «Uno degli obiettivi è accelerare il time-to-market dei prodotti. Prima si parlava di gestione di ciclo di vita del solo prodotto, Plm; adesso software, sensori e applicazioni correlate devono essere pensati assieme al prodotto: è il Palm, che significa gestione di ciclo di vita del prodotto e delle applicazioni».

Stare al passo di questa radicale trasformazione produttiva richiederà fino al 7% annuo del fatturato. Un’incidenza che potrebbe pesare maggiormente sui conti delle pmi. Per convincerle a percorrere la strada 4.0 «è necessario un ripensamento del loro modello operativo, del sistema di valutazione degli investimenti, delle competenze interne del personale e del management», suggerisce Iacovone. «La sfida comprende la rapidità: devono cambiare velocemente perché i modelli aziendali disruptive, cioè rivoluzionari, stanno emergendo in tutti i settori e la lentezza comporta una perdita del vantaggio competitivo acquisito negli anni», mette in guardia il ceo di Ey. Per Roberto Crapelli, amministratore delegato di Roland Berger Italia, «non sarà molto importante avere in 4.0 l’intero ciclo produttivo, ma concentrarsi sulla fase in cui si concentra la creazione di valore per l'azienda. Bisognerà essere flessibili, oltre che veloci, nella risposta ai cambiamenti».

L’evoluzione verso i sistemi cyberfisici in modo ampio, organico e sistematico non rischia però di snaturare il made in Italy? «Non dobbiamo copiare ciò che stanno facendo Germania, Francia, Stati Uniti, perché abbiamo un tessuto industriale diverso. È importante individuare la nostra via, che aiuti le imprese medio-piccole a colmare il ritardo nelle competenze digitali e a uscire dalla fase sperimentale, passando all’applicazione diffusa ed estendendo i progetti ai settori alimentare, legno-arredamento, moda», puntualizza Sergio Terzi, direttore dell’Osservatorio smart manufacturing del Politecnico di Milano. 

Considerando la complessità di alcune  tecnologie, in aggiunta alla crisi dei consumi, lo smart manufacturing italiano comunque cresce bene: nel 2015 valeva 1,2 miliardi, trainato da grandi aziende di macchinari e dell’automotive e costituito in maggioranza da applicazioni tecnologiche dell’internet delle cose per l’industria (66% del valore). «L’Italia già impiega le tecnologie 4.0 nella produzione dei macchinari, che vende in tutto il mondo», ricorda Tullio Tolio, presidente del comitato tecnico-scientifico del cluster Fabbrica intelligente. «L'industrializzazione 4.0 delle pmi è paradossalmente più complessa da risolvere rispetto a quella delle grandi aziende perché richiede flessibilità, produzione in piccoli volumi, maggiore interazione uomo-macchina». Eppure, la digitalizzazione delle pmi non può più essere rimandata. «L’industria 4.0 può essere una forte spinta proprio per le pmi perché hanno una capacità di innovare superiore rispetto ai big player», sostiene Klecha

In termini pratici: l’automazione, la trasmissione dei dati raccolti dal mercato su un prodotto e l’uso in azienda di robot configurabili consentirà allo stesso impianto di produrre una maggiore varietà di prodotti differenti. È la via alla mass customization, cioè la produzione anche di piccoli lotti adattati agli orientamenti della clientela, grazie alla rapida configurazione delle macchine. «I clienti saranno di fatto indirettamente coinvolti nella produzione della fabbrica intelligente», sintetizza La Commare. «L’industria italiana può in questo modo diventare la boutique del mondo, offrendo prodotti sartoriali, con la qualità artigianale elevata che da sempre la distingue, in una nuova dimensione industriale», sottolinea il numero uno di Confindustria Boccia. Nella sfida dell’industria 4.0 c’è chi è già avanti: l’Emilia-Romagna, per esempio, è una regione trainante, con circa il 6% delle start-up innovative (350 sulle 6mila registrate), molte delle quali nella meccatronica. «Ci sono anche aziende di piccole dimensioni che hanno compreso l’importanza di adottare per prime nuove soluzioni tecnologiche», sottolinea Maurizio Brevini, presidente del Club Meccatronica. «In questi casi c’è visione imprenditoriale, impegno del management e dei dipendenti. L’evoluzione 4.0 è un processo integrale che coinvolge tutte le funzioni aziendali e necessita del contributo di menti illuminate che guardano al futuro». Filosofia applicata alle tecnologie 4.0.

 

 


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