L'invasione dei robot: quanto costa alle aziende?

di Elena Dal Maso 12/03/2018 10:24
L'invasione dei robot: quanto costa alle aziende?

L’Intelligenza Artificiale costa 5 euro l’ora, un uomo invece 40. Il risparmio nel settore finanziario può arrivare all’85% e le nuove banche, come la Spaxs di Passera, nascono molto leggere. La trasformazione digitale travolgerà tutto. Ecco come

Non penso che un sistema di intelligenza artificiale dotato di mente sovrumana sarà violento. Ma penso che distruggerà la nostra cultura». Lo ha detto nel 2015 Gray Scott, ceo di seriouswonder.com e uno dei maggiori esperti mondiali in campo tecnologico. Un anno dopo AlphaGo, motore di intelligenza artificiale sviluppato da Deep Mind (Google), ha battuto per 18 volte il campione del mondo, Lee Sedol, nel gioco da tavola cinese Go. Perdendo contro la macchina, il 34enne ha commentato: «Sono senza parole, sin dall’inizio del gioco non c’è stato un momento in cui sentivo di essere in testa». Ibm Watson ora è famoso. Progettato inizialmente per giocare a Jeopardy (stile Lascia o Raddoppia), il robot è cresciuto e ora lavora all’ospedale Memorial Sloane Kettering di New York. Assiste i medici nella diagnosi del cancro e nella progettazione di piani di trattamento che hanno buone probabilità di arrivare a un risultato positivo per il paziente, fondato su tecniche di apprendimento profondo e di big data.

Citando ancora Gray Scott, il futuro è oggi. Idc, fra i principali advisor nel settore tech, ha previsto che big data e analytics passeranno dai 134 miliardi del 2016 a 210 miliardi di dollari entro il 2020, con una crescita annua composta (cagr) dell’11,8% in quattro anni. E che i settori più interessati saranno quello finanziario, manifatturiero, i governi federali e centrali, i servizi professionali. Secondo Idc nel 2018 i grandi gruppi con oltre mille dipendenti saranno i big driver nel settore big data & analytics, rappresentando nel complesso oltre 100 miliardi di dollari di ricavi. La trasformazione digitale (DX), poi, entro il 2020 vedrà l’installazione di piattaforme di terza generazione, con investimenti per oltre 2.200 miliardi di dollari nel 2019, quasi il 60% in più del 2016.

«L’uso di big data e dei processi di digitalizzazione nel settore finanziario portano a risparmi del 50% in media sui processi prima realizzati attraverso il lavoro umano, fino a punte dell’80%», conferma Stefano Spaggiari, ad di Expert System, società quotata sull’Aim e specializzata nell’analisi e gestione di informazioni non strutturate attraverso la semantica. Credit Suisse si spinge oltre. Un report della banca svizzera racconta che un robot costava poco più di 5 euro l’ora nel 2014 contro i 9 euro di un lavoratore in Cina, gli 11 euro di una persona nell’Europa dell’Est e i 40 in Germania. La tendenza è che i salari tendono ad aumentare mentre il costo dell’intelligenza artificiale si contrae.

PriceWaterhouse Coopers (Pwc) ha calcolato, in una recente indagine dedicata all’Intelligenza artificiale l’impatto che avrà sui settori, per capire tempi e portata della trasformazione (grafico sotto). Dal report emerge che l’ambito più sensibile è quello finanziario, che vedrà a breve termine (entro tre anni) il 41% delle società trasformate dalla rivoluzione digitale, mentre il restante 59% sarà toccato fra tre e sette anni. In questo senso la banca del futuro esiste già, sta in mano, dentro allo smartphone. Occupa lo spazio di un’applicazione che può essere navigata con gli occhiali in 3D per avere un’esperienza in tre dimensioni. Si dialoga con avatar programmati per rispondere a migliaia di possibili domande, si dispongono operazioni. Non è futuro, questo accade già con Widiba, l’istituto online del gruppo Mps.

E il modello si sta allargando sempre più, grazie anche al fatto che costa molto meno. Fino all’85% di risparmio sul personale, calcolano le società tech che lavorano come consulenti nel settore finanziario. Una percentuale che può far paura e per questa ragione difficilmente viene messa in evidenza. Ma è nota al sistema. Lo sa bene Ennio Doris, fondatore di Mediolanum, che già due anni fa aveva parlato di filiali bancarie che avrebbero fatto la fine delle cabine telefoniche. Ed è questo il modello di istituto di credito iper leggero sul quale nascerà a breve la banca di Corrado Passera, per ora semplice scatola vuota quotata sul segmento Aim di Piazza Affari come spac (Spaxs), in attesa della business combination. Tanto più che il settore del recupero crediti, l’immenso regno di npl e npe, è stato nel frattempo digitalizzato e fonda molta della sua forza nella tecnologia.

Intanto l’Intelligenza artificiale ha cominciato a permeare i piani industriali di tutti i maggiori gruppi industriali del mondo e Piazza Affari lo sa bene. Eni ha costruito in Lombardia il più importante calcolatore industriale al mondo grazie al quale è stato scoperto l’immenso giacimento di gas di Zohr, al largo dell’Egitto, senza dover trivellare prima il fondale marino. Il sito è diventato poi operativo in tempi molto veloci, sempre grazie al lavoro del super calcolatore. Piaggio, invece, ha cooptato nel board della controllata americana Daniela Rus, direttrice del Computer Science and Artificial Intelligence Laboratory al Mit e grande esperta di macchine che hanno la capacità di adattarsi in maniera autonoma a diversi ambienti. Il gruppo Generali, invece, sta utilizzando la tecnologia della blockchain all’interno di un consorzio mondiale di gruppi assicuratori e riassicuratori, mentre sperimenta l’uso dei big data nel settore Rc auto (se so con che stile guidi, ti taglio la polizza su misura) e della copertura sanitaria (in Germania).

Stephane Klecha lavora da tempo con clienti che sviluppano e applicano in tutto il mondo l’intelligenza artificiale da molti anni, «quando il digitale era ancora considerato un ambito per pochi venture capitalist». E ora tutti devono confrontarsi direttamente con la tecnologia, sia a livello personale sia sul lavoro. Per il managing partner di Klecha & Co., società di consulenza con sede a Milano, Londra e New York, «siamo nella fase di un’intelligenza assistita, di una maggiore capacità di calcolo, una forma aumentata ma non ancora autonoma». E tuttavia la trasformazione del mondo è già pienamente in atto «e molto più forte rispetto al 2000», aggiunge. Un impatto importante sui margini delle società e dei gruppi che hanno avviato la strada di profonda trasformazione digitale e sul costo del personale. «Perché già oggi è possibile effettuare molte delle attività della banca commerciale con un sistema artificiale che costa molto meno del personale umano».

L’Intelligenza artificiale, riprende Klecha, «è diventata la tecnologia chiave dietro l’innovazione nel fintech: è utilizzata per automatizzare processi di compliance e reportistica e per migliorare la customer experience». Il rischio per il sistema bancario, riprende l’esperto, «è quello di essere disintermediato. L’eco-sistema si sta evolvendo rapidamente con moltissimi operatori con capitali a disposizione che non hanno problemi di legacy, sono molto agili e contestualmente con l’ingresso sul mercato dei giganti del web». Non a caso all’inizio di marzo Amazon ha reso noto che intende offrire ai clienti e soprattutto ai Millennials un conto corrente. E che per questa ragione è in contatto con diversi colossi a Wall Street, fra i quali Jp Morgan. La notizia si è diffusa molto velocemente, perché il settore finanziario teme molto la concorrenza dei giganti tecnologici.

Le banche però non stanno a guardare e da tempo si stanno mettendo ai ripari. Goldman Sachs ha investito oltre 35 miliardi di dollari in fintech negli ultimi quattro anni, Citibank 25 miliardi nello stesso periodo, Jp Morgan 10 miliardi (sempre stime riportate da Klecha). In Europa, Santander e Bbva sono fra le più attive. Si stima che nel 2017 sano stati investiti in startup fintech 5 miliardi di dollari da parte del sistema bancario, in tutte le categorie, inclusa l’Intelligenza artificiale. A dimostrazione dell’effervescenza del settore, sempre lo scorso anno il settore ha registrato circa 330 exit per un totale di 18 miliardi di dollari, dei quali oltre due terzi tramite m&a.

Secondo Gartner, uno dei più autorevoli osservatori di tecnologia, nel 2021 l’uso dell’intelligenza artificiale genererà 2.900 miliardi di dollari e farà risparmiare 6,2 miliardi di ore di lavoro agli esseri umani. Non solo. Lo studio del gruppo di ricerca e consulenza con sede a Stamford, nel Connecticut, racconta che tra due anni per la prima volta l’Ai comincerà a creare più posti di quanti ne distrugga. Vale a dire 2,3 milioni contro 1,8. Il rapporto chiaramente vede per lo più i lati positivi e le promesse delle nuove tecnologie. In che modo l’intelligenza artificiale potrà evolversi? La risposta è che tenderà sempre più ad assomigliare a quella umana, in primis grazie all’acquisizione della capacità di riconoscere le emozioni dei propri interlocutori. Sempre Gartner scrive che gli assistenti virtuali diventeranno capaci di comprendere gli stati d’animo delle persone, in modo da offrire un’esperienza più personalizzata rispetto a quella attuale.

Queste analisi si incrociano con un’indagine presentata a gennaio a Davos dal gruppo Accenture secondo cui le società rischiano di perdere importanti opportunità di crescita se i loro manager e soprattutto i vertici, gli amministratori delegati, non sapranno attivarsi per rimodellare la forza lavoro, fornendo a tutti i collaboratori gli strumenti adeguati per avvantaggiarsi delle tecnologie intelligenti. Lo studio di Accenture Strategy («Reworking the Revolution: Are you ready to compete as intelligent technology meets human ingenuity to create the future workforce?») stima che i ricavi delle imprese potrebbero crescere del 38% entro il 2020, a patto che investano sull’Intelligenza artificiale e su un’efficace cooperazione uomo-macchina almeno quanto i gruppi leader di mercato. A queste condizioni, anche il livello di occupazione potrebbe beneficiare di un aumento, addirittura del 10%. Per l’economia mondiale globale, questo si tradurrebbe in una crescita dei profitti per 4.800 miliardi di dollari.

Ecco perché il mondo del risparmio gestito sta correndo negli ultimi mesi a costruire prodotti che investono nelle società molto esposte sull’Intelligenza artificiale. Credit Suisse ha creato un fondo comune, Global Robotics equity fund, domiciliato in Lussemburgo, che scommette sulla crescita dell’intelligenza artificiale e investe nelle società più esposte nel settore della robotica. A gestire il fondo, però, sono due asset manager in carne e ossa, Patrick Kolb e Angus Muirhead. Il fondo ha quasi 2 miliardi di dollari di asset in gestione e da inizio anno a fine febbraio ha reso, in dollari, il 5,27%, il 39,5% a un anno e il 63,9% dal lancio (30 giugno 2016). Parvest Disruptive Technology (in euro) ha registrato a un anno (al 9 marzo) il 19,7%, mentre l’Etf Ishares Automation & Robotics uctis in dollari è salito del 22,4%.

A fine gennaio Vontobel ha lanciato un certificato dedicato al mondo dell’intelligenza artificiale, quotato sul segmento SeDeX di Borsa Italiana. Il Tracker Certificate Artificial Intelligence ha come sottostante il Solactive AI Performance-Index (creato dal provider tedesco Solactive), che permette di investire in società attive in app e big data che hanno al contempo una parte significativa del proprio fatturato e degli investimenti nel settore dell’intelligenza artificiale, replicandone perfettamente (1:1) la performance. Questo indice è stato lanciato a 100 il 18 settembre 2017 e al 9 marzo era salito a 125,96. Fra i gruppi in cui investe vi sono colossi quali Alibaba, Alphabet, Amazon, Baidu, Blackrock, Intel, Microsoft, Nvidia, Sap, Tencent.

Che l’Intelligenza artificiale si stia evolvendo lo dimostra un recente esperimento di LawGeex, società che sviluppa soluzioni high tech in ambito legale (Stanford University, Duke University School of Law e University of Southern California). LawGeex ha sottoposto cinque accordi di riservatezza a macchina e professionisti, chiedendo di individuare eventuali rischi e punti sensibili per i clienti. L’intelligenza artificiale ha raggiunto un’accuratezza pari al 94 contro l’85% della media degli avvocati. I professionisti migliori, però, hanno saputo raggiungere livelli di accuratezza pari (ma non superiori) a quelli del software (94%). Mentre i peggiori si sono fermati al 67%. Nessuno di loro però si è avvicinato ai tempi del software, capace di completare il lavoro in soli 26 secondi. (riproduzione riservata)

 


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