Ripresa e digitalizzazione, a che punto siamo?

di Carlo Ferro * 27/12/2017 15:49
Ripresa e digitalizzazione, a che punto siamo?

Italia ed Europa sono rimaste indietro rispetto a Cina e Stati Uniti nell’applicare il digitale all’industria. Il piano Impresa 4.0 non basta

Il 2017 si sta chiudendo come un anno di crescita. In Italia le previsioni indicano un aumento del pil dell’1,5%, che farebbe del 2017 l’anno di crescita più elevata dal 2010; lo stesso vale per l’Eurozona e il mondo, con tassi di crescita attesi rispettivamente del 2,2 e 3,5%. Emerge già un primo indicatore: il differenziale tra l’Italia e gli altri Paesi. Evidentemente l’economia italiana, soprattutto quella legata ai consumi interni, soffre l’affanno di un recupero dei livelli pre-crisi che è più faticoso perché partito più tardi. Per affrontare con realismo questa fase è necessario considerare altri quattro indicatori:

a) nonostante la recente accelerazione, l’economia nazionale non ha ancora recuperato i livelli pre-crisi: il pil è oggi inferiore del 6% rispetto al picco del 2008. A questa velocità bisognerà aspettare il 2021 per toccare quei livelli;
b) persiste un differenziale di passo fra le grandi imprese, che meglio beneficiano delle facili condizioni dei mercati dei capitali, e le pmi. In Lombardia la produzione manifatturiera è cresciuta, nei nove mesi del 2017, del 3,2% ma non è ancora ai livelli del 2008, con le pmi ancora sotto i volumi pre-crisi, mentre le grandi imprese li hanno superati;
c) la crescita in Europa interessa in pratica tutti i settori in un contesto di bassa inflazione. È un indicatore di limitato potere negoziale dell’offerta, che riflette ancora eccesso di capacità produttiva in alcuni settori (edilizia, trasporti, distribuzione) o deficit di innovazione in altri (tlc, alimentare); d) sulle tecnologie digitali l’Europa ha accumulato ritardi. Il consumo di semiconduttori ne è un indicatore. Solo in quest’ultimo trimestre la domanda di semiconduttori in Europa ha recuperato i livelli del primo trimestre 2008, mentre nello stesso periodo il mercato mondiale è cresciuto a una media annua del 5,5% trainato da Cina e Usa.

Ci sono insomma tutte le condizioni per festeggiare il 2017 come un’ottima annata per l’economia italiana ed europea e questo anche grazie a misure di politica monetaria come il Quantitative easing della Bce, e di politica industriale, come il Piano Nazionale Impresa 4.0 lanciato dal governo. Tuttavia, riconoscendo la strada ancora da fare, la continuità di entrambe queste misure è importante, come è importante insistere sulle riforme, in Italia come in Europa. Le imprese, tornate alla crescita, guardano in prospettiva a come adattarsi per vincere la sfida competitiva sui mercati globali, che è la sfida dell’innovazione, della produttività e delle competenze. La tecnologia cambia i paradigmi di produzione e di consumo in tutti i settori, dai contenuti mediali alla e-mobility, dall’Industria 4.0 al commercio online, dalle reti intelligenti all’Internet delle cose.

La digitalizzazione dei processi, in fabbrica come nei servizi, è la pietra d’angolo di questa trasformazione, ne è il fattore di discontinuità. Tuttavia può trasformarsi nella leva di ribaltamento dei ruoli fra le aree geo-economiche, se l’Europa non recupera il ritardo verso i leader globali, Cina e Stati Uniti. La trasformazione digitale delle economie manifatturiere è un progetto a medio termine che richiede la creazione di un sistema di imprese che adottano soluzioni tipo Industria 4.0 e di una filiera di aziende che sviluppano sistemi 4.0. Un simile progetto richiede un persistente impiego di risorse in ricerca e sviluppo (certo più elevato di quanto implica l’attuale rapporto spesa in r&s/pil, in Italia pari all’1,34%), investimenti produttivi, adattamento dei processi e sviluppo del capitale umano con l’inclusione dei giovani nel mondo produttivo. Un mercato del lavoro flessibile e meno gravato da oneri contributivi, le condizioni di accesso al credito, gli incentivi fiscali all’innovazione, anche in produzione, saranno perciò fondamentali nei prossimi anni.

Anche la normativa fiscale necessita di adattamenti per adeguarsi alla sfida dell’economia digitale. Le misure in atto, basate su superammortamenti e crediti di imposta, sono efficaci nello stimolo iniziale. Tuttavia serve una riforma organica del regime tributario ispirata a favorire strutturalmente il reinvestimento dei margini d’impresa nello sviluppo e nell’innovazione. Un quadro certo, prevedibile e equilibrato nei rapporti tra amministrazione e contribuente. È infine necessario adattare la normativa tributaria alla trasformazione tecnologica dei mercati, come si sta cominciando a fare con la web tax. Certo la norma richiede, nei 12 mesi che ci separano dalla sua entrata in vigore nel 2019, di essere tarata nell’attuazione e resa compatibile con i trattati internazionali. Tuttavia è riduttivo relegare il dibattito sulla web tax alle tecnicalità di un provvedimento antielusivo. Se consideriamo che i servizi sulla rete competono con attività fisicamente svolte sul territorio (pubblicità, editoria, commercio...) possiamo accogliere la web tax come una misura iniziale di equalizzazione del carico fiscale, di riequilibrio della concorrenza, di ribilanciamento delle condizioni di interscambio a difesa di un’Europa che, nell’era dei protezionismi, resta comunque l’unica area economica del globo realmente aperta. (riproduzione riservata)

*vicepresidente, Assolombarda


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