Robot e macchine 4.0 per Germania, Cina, Usa...

di Tobia De Stefano 29/05/2018 11:32
Robot e macchine 4.0 per Germania, Cina, Usa...

L’Italia mantiene salda la sua posizione di terzo paese al mondo per esportazione dei robot e automazione (dietro a Germania e Giappone), ma allo stesso tempo negli anni la percentuale di produzione destinata all'estero è scesa da circa il 67,2% del 2014 a poco più del 56% del 2017: non è un dato negativo, significa che per robot e impianti avanzati Made in Italy c’è forte domanda anche da aziende italiane.

C’è una tabella, elaborata dall’ufficio studio dell’Ucimu, che spiega molto del boom dell’export, vero traino della ripresina del paese. Con questi numeri l’associazione che rappresenta i costruttori italiani di macchine utensili, robot e automazione mostra l’incremento della produzione e delle vendite all’estero del settore. La crescita, partita da 4,480 miliardi nel 2014, è arrivata ai 6,5 previsti per l’anno in corso; l’export passa da 3,2 miliardi del 2014 ai 3,6 previsti quest’anno. Sicuramente hanno un ruolo fondamentale gli incentivi della legge Calenda (superammortamento e iperammortamento) per l’ammodernamento degli impianti, ma visto che il settore cresceva anche prima, c’è dell’altro.

C’è la consapevolezza di molte imprese italiane (ancora non tutte) che l’investimento nella robotica e nell’automazione sia la leva fondamentale per riuscire a competere in un mercato globale. Non è un caso che l’Italia mantenga salda la sua posizione di terzo paese al mondo per esportazione del settore (dietro a Germania e Giappone), ma allo stesso tempo che negli anni la percentuale di produzione destinata all’estero sia passata da circa il 67,2% del 2014 a poco più del 56% del 2017: non è un dato negativo, significa che per robot e impianti avanzati Made in Italy c’è forte domanda anche da aziende italiane. E qui l’iperammortamento voluto dal ministro Carlo Calenda c’entra, eccome.

Le vendite all’estero di robot e macchine legate al 4.0 Made in Italy sono dirette nei paesi più avanzati, dove la trasformazione produttiva è più rapida, quindi Germania, Cina, Stati Uniti, ma anche verso paesi meno prevedibili come Polonia, Spagna e Messico. E i campioni di export non sono tutti noti come Comau, gioiello del gruppo Fca che sviluppa e realizza processi di automazione ed è specializzata nei robot di saldatura. Almeno altri due gruppi italiani sono rilevanti, Prima Industrie e Fidia, che sono anche quotati in Borsa. Il primo è leader nell’elettronica industriale e nelle tecnologie laser e nell’ultimo anno ha visto quasi raddoppiare il valore del titolo, passato dai 20 euro di marzo 2017 ai quasi 40 del marzo di quest’anno. Il segreto? Sicuramente decisivo è stato il fatturato in continua crescita, trainato dagli ottimi risultati dell’area Americhe, Emea (Europa, Medio Oriente e Africa) e Apac (Asia-Pacifico: dalla Cina all’Australia). Fidia, poi, è un’azienda che fa sistemi integrati di fresatura per l’industria automobilistica e aerospaziale e genera oltre il 90% del suo fatturato dalle esportazioni, tra Usa, Europa e Asia. Negli ultimi mesi ha chiuso un accordo con il gruppo Volkswagen, che si è affidato alla tecnologia Made in Italy per lo stabilimento della Skoda, nella Repubblica Ceca, e per il centro stile della Seat, a Barcellona.

Perché, a differenza dei maggiori concorrenti, le macchine utensili, i robot e i prodotti di automazione italiani lavorano più sulla qualità che sulla quantità. Buona parte delle commesse che arrivano dall’estero riguarda macchine fatte su misura per soddisfare le esigenze di grandi clienti, come può essere la Bmw. Si muovono in questo solco i successi nell’export di realtà come Omera, che fa capo al presidente dell’Ucimu Massimo Carboniero e mette sul mercato una sorta di pressa 4.0 con la quale è possibile raccogliere ed elaborare i dati che arrivano dalla lavorazione. Oppure i risultati in Arabia Saudita, Canada e Vietnam della varesina Ficep (leader nel taglio laser), quelle in Argentina e Brasile della astigiana Biglia (torni 4.0), in Messico e Cina di Blm (macchine per la lavorazione del tubo), negli Stati Uniti di Breton (macchine che bucano e fresano), in Europa di Balluff (sensori che si installano sui robot) e in Slovenia e Francia della bergamasca Cosberg (bracci di carico e scarico).

Ma il vero Eldorado futuro potrebbe arrivare dai paesi in via di sviluppo. «Sulla scorta di quanto già fatto in passato dal ministero degli Esteri con Ucimu», evidenzia il presidente Carboniero, «sarebbe utile incentivare lo sviluppo di centri tecnologici dotati di macchinari italiani nelle aree del mondo considerate in via di sviluppo. I centri funzionerebbero come punti di formazione della popolazione, ma al tempo stesso diventerebbero veri e propri showroom della tecnologia Made in Italy di settore. Si tratta di piani di medio-lungo periodo che però danno risultati concreti fin dal loro avvio».


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