Una rivoluzione da 8mila miliardi

11/12/2018 10:23
Una rivoluzione da 8mila miliardi

Protocolli internet per l’interazione, algoritmi capaci di ottimizzare la linea di produzione, alzando la produttività. Gli invisibili machine learning system sfruttano il potenziale sterminato dei big data. Sono queste componenti invisibili del 4.0 a imporre all’uomo di condividere le decisioni, andando oltre la seconda legge della robotica dello scrittore di fantascienza Isaac Asimov.

La prima volta fu tra uomini e donne nelle caverne. Poi venne la divisione del lavoro fra nomadi-allevatori e stanziali-agricoltori nel Neolitico, più tardi tra artigiani con abilità differenti, come per fabbricare spilli più velocemente nel celebre esempio raccontato da Adam Smith, là dove ne spiega i vantaggi nella prima manifattura industriale. Mai era però successo che l’homo faber condividesse con le macchine non soltanto il lavoro ma anche le decisioni di che cosa e come produrre, non solo l’esecuzione ma le scelte per il migliore risultato, lasciando all’hardware e al software molte prerogative finora esclusivamente sue. Questo sta succedendo. Questa, semplificando, è la quarta rivoluzione industriale, battezzata 4.0 per la moda di segnare con un numero l’evoluzione delle tecnologie.

L’enfasi è in agguato, quando si parla di svolte epocali. Ma, proprio perché l’uomo concede alle macchine la cogestione, in molti casi l’autogoverno, non bisogna sottovalutare l’effetto su tutte le imprese. L’internet delle cose, pilastro del 4.0, significa per esempio 20 miliardi di oggetti presto connessi, a partire proprio da quelli nelle aziende. Le macchine riconoscono i materiali, registrano anomalie e le correggono (predictive maintenance), perché i sensori leggono vibrazioni, temperature, umidità, evitando stop e rotture. Modificano anche il prodotto per migliorarlo, con possibilità infinite di progettazione virtuale, stampa 3D di qualsiasi oggetto, da un pezzo di motore a uno sterno. Gli esperti di McKinsey stimano dal 20 al 50% la riduzione del time to market e un abbattimento dei costi dal 10 al 20%. In connessione costante è anche il servizio assistenza per quel che è uscito dalla fabbrica. E i clienti: l’analisi di quantità enormi di dati consente risposte personalizzate e immediate al consumatore, attraverso la rete; l’industria 4.0 permette di accontentarli fabbricando anche piccole quantità a costi ragionevoli. Sicché non è esagerato dire che l’odierna rivoluzione ha portata almeno pari a quelle del vapore, dell’elettricità, dei computer. Anzi, il valore economico di questo processo è ben più grosso.

Se la rivoluzione digitale è una sfida per le imprese, è pure un’opportunità per rafforzarne la posizione, mentre quelle che non avviano subito, oggi, l’innovazione perdono oltre al vantaggio competitivo i rilevanti incentivi del piano Impresa 4.0, messi in campo dal precedente governo e in via di conferma dal nuovo: iperammortamento al 250% per acquisti di tecnologie innovative, che può essere esteso ai software, e superammortamento per gli altri macchinari (140%). Eppure, i nuovi processi vengono adottati a velocità ancora insufficiente dalle pmi: questo è stato un tema per il World Manufacturing Forum 2018 di Cernobbio (Lago di Como), summit di competenze su quanto è più avanzato in industria e servizi, con imprenditori, esperti, responsabili della politica industriale, il gotha del manufatturiero mondiale, centinaia di partecipanti attesi da oltre 50 paesi. Per fortuna molte altre aziende hanno investito e stanno adattando i processi con soluzioni di ingegneria, informatica, consulenza. Questi progressi e successi, gli esempi di imprese all’avanguardia, insieme con le eccellenze che le accompagnano con tecnologie e servizi, racconta IL LIBRO preparato da Capital, il giornale che più approfondisce in Italia, numero dopo numero, i temi del 4.0. The best industry 4.0 in Italy si può sfogliare gratuitamente accedendo all'edicola digitale di Class Editori 

La parte visibile, suggestiva, del 4.0 sono i robot, con le loro abilità simil-umane. Nella stessa azienda automi e nuovi software di processo diventano una cosa sola (Cps, cyber-physical system) grazie a quel che non si vede: protocolli internet per l’interazione, algoritmi capaci di ottimizzare la linea di produzione, alzando la produttività. Gli invisibili machine learning system sfruttano il potenziale sterminato dei big data. Sono queste componenti invisibili del 4.0 a imporre all’uomo di condividere le decisioni, andando oltre la seconda legge della robotica dello scrittore di fantascienza Isaac Asimov: «Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani». Adesso le decisioni si prendono insieme, facile prevedere la stessa evoluzione per le città (illuminazione, traffico, sicurezza) o la sanità (distribuzione delle emergenze, per esempio).

Tutto questo magari non impressiona quegli imprenditori, ciechi, che credono basti la passione, stare in azienda dalle sette di mattina, controllare tutto, riservarsi ogni decisione. A loro il 4.0 può suonare astratto: sanno loro come deve funzionare un’azienda... Però sanno poco di software e sfruttamento-valorizzazione dei dati preziosi per farla crescere. Né sanno che fare impresa 4.0 serve non solo a stare sul mercato, ma ha un effetto sonante: i sistemi che si automigliorano con i dati (machine learning system e deep learning) da soli possono valere un +9% del fatturato, è la stima di McKinsey Global Institute. Migliaia di miliardi a livello globale. Le soluzioni It per il 4.0 stanno creando un mercato enorme, le imprese nel mondo investiranno 907 miliardi di dollari fino al 2020, secondo la società di ricerca Gartner. L’Internet of things trend report ritiene che l’Iot genererà 8mila miliardi di valore in 10 anni, così suddivisi: innovazione 2,1 trilioni, altrettanti per l’utilizzo degli impianti; supply chain e logistica 1,9 trilioni, maggiore produttività 1,2 trilioni, servizi aggiuntivi e per la cura dei clienti 700 miliardi.

Bcg, un colosso della consulenza, ha individuato nove pilastri della rivoluzione: 4.0 significa ben più che automazione, obbliga a ripensare il processo, a inserire in azienda nuovi saperi. E non solo assumendo qualche specialista, devono estendersi all’imprenditore o almeno al top management, e verso il basso: meno operai e più laureati e diplomati, formazione continua. Più competenze per dialogare con gli impianti utilizzando tablet o più complessi interfaccia, quindi non la semplice sorveglianza; poi capacità di programmazione, analytics e data mining; e saper fare tutte queste cose insieme, adattabilità a condividere le scelte.

Gli economisti dicono che con il 4.0 la produzione diventa più capital intensive, quindi secondo le dottrine classiche dovrebbe essere l’anticamera di una disoccupazione disastrosa: le macchine mangiano occupati, come nell’Inghilterra dei latifondi le pecore da lana divoravano gli uomini, i piccoli contadini, scrisse Tommaso Moro (Utopia). Sta piuttosto succedendo che il 4.0, con la sua produttività, rende meno rilevante il costo del lavoro. Tornano perciò a casa fabbriche delocalizzate (reshoring), aprendo prospettive a una forza lavoro più qualificata. Bcg ha condotto un’indagine sul tema in Germania, dove il termine 4.0 è stato coniato (copyright di Henning Kagermann, capo della Acatech, German national academy of science and engineering) e dove si era perso il 18% di forza lavoro nella manifattura tra il 1997 e il 2013. La società di consulenza Roland Berger ha stimato che possono crearsi 6 milioni di posti di lavoro qualificati entro il 2030.

Decisiva è anche la nuvola, il cloud dove inserire dati aziendali e dove pescare tutti gli altri che servono a migliorare la produzione, trovare fornitori e orientamenti dei consumatori. Si centralizza l’attività digitale di un’impresa, delle sue macchine (machine learning in the cloud); computer e tablet aziendali diventano terminali. È un servizio che tra le prime ha offerto Microsoft, spinta dall’intuizione del ceo Satya Nadella. Scelta vincente, tanto che sono entrati in pista i motori di ricerca e le piattaforme, Google, Amazon. Offrono sia l’elaborazione dati (infrastructure as a service) sia la struttura per far girare le applicazioni delle aziende (platform as a service). Nei loro cloud l’accumulo di dati propri (storage) e l’utilizzo di quelli comuni costa sempre meno. Tutti i big tech programmano ulteriori, forti investimenti, segnalati in un’analisi di Morgan Stanley.

Tuttavia, la centralizzazione dei dati non reggerebbe all’inondazione di informazioni prodotte da miliardi di impianti, apparecchi domestici, cellulari, auto connesse, telecamere, ecommerce… «Nessuna nuvola può digerire tutta questa roba», ha riassunto spiritosamente un esperto come Ali Farhadi, docente nell’Università di Washington. Il grande fratello non vincerà, non è detto che chi controlla le piattaforme governerà il futuro, anzi l’elaborazione di algoritmi per il 4.0 diventa attività diffusa quanto la creazione di app. C’è n’è uno, si chiama Raspberry Pi, che gira su un computerino da 5 dollari e gestisce un’attività complessa come il riconoscimento facciale. Si potrebbe mettere in una vetrina per studiare le reazioni dei consumatori, magari usarlo per pizzicare i furbetti del cartellino. Un altro tipo di riconoscimento facciale, la Yitu Technology di una startup di Shanghai, ha vinto premi in America.

Ci sono anche i rischi, certo. L’interconnessione generalizzata suscita le ansie di ogni imprenditore per l’uscita dall’azienda di dati riservati. Teme lo spionaggio, è geloso del legame diretto con fornitori e clienti. Perché immagazzinare tutto su una delle piattaforme digitali esterne, che hanno dimostrato di saper utilizzare informazioni acquisite per rivenderle, per fare il loro business? Ma non ci sono questi rischi con le società di soli servizi informatici. Inoltre le tecniche di cybersecurity sul cloud sono in rapida evoluzione, anzi sono un pilastro del 4.0. E poi, il materasso è forse più sicuro del caveau di una banca?

This book

The first occasion was among men and women in the caves. Then came the division of labour between nomads-farmers and settlers-farmers in the Neolithic age, later among artisans with different abilities, for example in the fastest production of broaches as per the famous anecdote told by Adam Smith, where he explains the advantages of the first industrial production. Yet homo faber never shared more than work with machines until now, progressing to also share the decisions regarding what and how to produce, not only in the execution but in the choices for the best result, leaving prerogatives to hardware and software that until now have exclusively been the decisions of man. This is what is currently happening. In simple terms, this is the fourth industrial revolution.

Precisely because man has granted co-management to machines, in many cases complete self-management, the effect on all businesses must not be underestimated. The Internet of things, the pillar of 4.0, means for example 20 billion objects soon connected, starting from those in companies. The machines recognise materials, register anomalies and correct them (predictive maintenance), as their sensors read vibrations, temperatures and humidity, thereby avoiding stops and breakages. They also modify the product to improve it, with infinite possibilities relating to virtual design and the 3D printing of any object, from a piece of an engine to a sternum. The experts at McKinsey estimate the reduction of the time to market from 20 to 50% and a reduction of costs from 10 to 20%. Support for all that leaves a factory is also constantly connected, as well as customers: the analysis of huge quantities of data makes it possible to provide the consumer with personalised and immediate answers through the network; Industry 4.0 makes it possible to satisfy them by manufacturing even small quantities at reasonable costs. So it is no exaggeration to say that today’s revolution has at least an equal reach as those of steam, electricity and computers. Indeed, the economic value of this process is much larger.

Those who do not start immediately, indeed today, not only lose a competitive advantage, but also the relevant incentives of the Enterprise 4.0 plan put in place by the previous Italian government and currently being confirmed by the new one. Yet the new processes are being adopted by SMEs at an insufficient pace: this is a central theme for the World Manufacturing Forum 2018 in Cernobbio, Lake Como, a summit summarizing all that is advanced in industry and services, with entrepreneurs, experts and industrial policy managers. Fortunately, many other companies have invested in and are adapting processes with engineering, IT and consulting solutions. This book prepared by Capital recounts these advances and successes, examples of cutting-edge companies, along with the excellences that accompany them with technologies and services; issue after issue, Capital has continued to discuss the themes of all that is 4.0. 

The visible, suggestive part of 4.0 is the robots, with their human-like abilities. Robots and new process software become one (CPS, cyber-physical system) within the same company thanks to all that is not seen: internet protocols for interaction and algorithms able to optimise production lines and raise productivity. Invisible machine learning systems exploit the boundless potential of big data. These are the invisible components of 4.0 that force man to share decisions, going beyond the second law of robotics of the science fiction author Isaac Asimov: “A robot must obey the orders given by human beings”. Now decisions are made together, and it is easy to envisage the same evolution for cities (lighting, traffic, security) and health (emergency distribution, for example).

All this may not impress those blind entrepreneurs who believe that passion is enough, that all it takes is staying at work 12 hours a day to personally make all decisions. 4.0 may seem abstract to them: they know how a company should work... But they know little about software and the exploitation-enhancement of precious data to make it grow. Nor do they know that doing 4.0 business not only serves for staying on the market, but has a resonant effect: systems that auto-improve with data alone (machine learning systems and deep learning) can have an extra 9% of turnover, according to McKinsey Global Institute estimates. Thousands of billions globally. The IT solutions for 4.0 are creating a huge market, and companies worldwide will invest 907 billion dollars through 2020 according to the research firm Gartner. The Internet of things trend report holds that the IoT will generate 8 trillion in value over 10 years, divided as follows: 2.1 trillion in innovation, the same for the use of plants, 1.9 trillion in supply chain and logistics, 1.2 trillion in increased productivity, and 700 billion in additional services and customer care.

The consulting giant BCG has identified nine pillars of the revolution: 4.0 means much more than automation, as it forces companies to rethink process, to incorporate new skills into the company. And not simply by hiring a specialist, this must also touch the entrepreneur or at least top management, and pass down vertically: fewer workers and more high school and university graduates, with continuous training. More specific skills are needed for interacting with the plants through tablets or more complex interfaces, not merely surveillance, followed by programming, analytics and data mining skills and knowing how to do all these things together, being adaptable.

Economists say that production becomes more capital intensive with 4.0, and according to the classical doctrines it should be the precursor to disastrous unemployment: the machines are kept busy, as in the England of large estates where the wool sheep devoured men, the small peasants, in  Thomas More’s Utopia. What is instead occurring is that 4.0, with its productivity, is making the cost of labour less relevant. So de-localised factories are returning home (reshoring), opening up prospects for a more qualified workforce. BCG conducted a survey on Germany, where 18% of the manufacturing workforce was lost between 1997 and 2013. Roland Berger has estimated that 6 million qualified jobs can be created by 2030.

The cloud is also decisive, as it can be used to enter company data and obtain all other data needed to improve production and find suppliers and consumer orientations. The digital activity of a company and its machines is centralised (machine learning in the cloud), while company computers and tablets become terminals. Microsoft was one of the first companies to offer this service. A winning choice, so much so that the search engines and platforms like Google and Amazon began working with the cloud as well. They offer both data processing (infrastructure as a service) and the structure for running companies’ applications (platform as a service). In their clouds, the accumulation of a company’s own data (storage) and the use of common data is constantly cheaper. All the big tech companies plan on further strong investments in this field according to a Morgan Stanley analysis. However, the centralisation of data will not be able to sustain the flood of information produced by billions of plants, interconnected devices, mobile phones, connected cars, cameras, ecommerce sites... It is by no means certain that those who control the platforms will govern the future; indeed, the development of algorithms for 4.0 has become an activity as widespread as the creation of apps. There are also risks, of course. Generalised interconnection makes every entrepreneur anxious about the dissemination of their company’s confidential data. Why store everything on external digital platforms, which have proven to be able to use the acquired informations to resell them, to do their business? But there are no risks of this type with IT-only companies, and cloud-based cybersecurity techniques are evolving rapidly, as they are a pillar of Industry 4.0. In any case, is to keep your valuables under a mattress safer than in a bank vault? 

 


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